Lotta di classe per rivendicare più adeguate misure a sostegno dei lavoratori e delle loro famiglie
Le cose che non vanno nel decreto “Cura Italia”
Assunzioni nella sanità ma precarie. Abbassamento dei diritti e della qualità della protezione per i lavoratori della filiera sanitaria. Colf e badanti escluse da Cig e divieto di licenziamento. Solo 600 euro una tantum per autonomi e partite iva. Niente per i rider e altre categorie di lavoratori occasionali e a nero. Congedi genitoriali pagati la metà e condizionati per gli operatori sanitari. Niente soldi per migliorare le carceri né misure serie per sfoltire il sovraffollamento.
Viva gli scioperi nei settori non essenziali e nelle fabbriche che non garantiscono la salute dei lavoratori

Il 16 marzo, in una conferenza stampa in streaming, il presidente del Consiglio Conte e il ministro dell'Economia Gualtieri hanno finalmente annunciato il varo del decreto rinviato più volte per fronteggiare l'emergenza sanitaria e quella economica provocate dall'epidemia di Covid-19. Un decreto il cui ammontare è salito via via, sotto il precipitare della crisi, dagli iniziali 3,5 miliardi fino a tutti i 25 miliardi stanziati preventivamente e autorizzati all'unanimità dal parlamento, ma che già appaiono del tutto insufficienti e superati dagli eventi, tanto che Gualtieri ha annunciato un'altra manovra in preparazione per aprile per rilanciare l'economia.
Il decreto, denominato “Cura Italia”, consta di oltre 120 articoli e interviene in quattro ambiti: sanità, lavoro, imprese e fisco. Stanzia 3 miliardi per potenziare la sanità e la protezione civile, per pagare gli straordinari al personale sanitario, per l'assunzione di medici e infermieri, per l'acquisto di macchine e dispositivi di protezione come le mascherine e i disinfettanti ecc. 10 sono i miliardi stanziati per sostenere i lavoratori costretti a cassa integrazione e i lavoratori autonomi rimasti senza reddito, per incentivare i lavoratori rimasti alla produzione e per aiutare i lavoratori con figli o disabili da accudire. Altri 5 miliardi sono destinati alle piccole e medie imprese e al sostegno al made in Italy , come garanzie statali fino al 33% dei prestiti erogati per anticipo sui crediti, e per prestiti fino a 5 milioni di euro per 9 mesi per investimenti e ristrutturazioni di debiti a causa della crisi. Prestiti, mutui, leasing e altri finanziamenti vengono congelati fino al 30 settembre; viene potenziato anche il fondo di garanzia per le pmi e la Cassa depositi e prestiti fornirà ulteriori garanzie fino all'80% alle imprese.
Ci sono poi tutta una serie di provvedimenti fiscali, come il rinvio dei versamenti (Iva, Irpef, Inps ecc.) a partire dall'8 marzo fino al 31 maggio, slittati tutti a questa data con possibilità di rateazione, per tutte le imprese che fatturano fino a 2 milioni di euro. Bloccate fino alla stessa data anche le riscossioni delle cartelle fiscali, la riscossione coattiva, i pignoramenti ecc. Ai professionisti e alle partite iva viene riconosciuto anche un credito d'imposta del 60% dell'affitto di marzo. Un altro credito di imposta del 50%, fino a un tetto massimo di 20 mila euro, viene accordato per le spese di sanificazione dei luoghi di lavoro. Ci sono infine altri provvedimenti particolari, come sulla situazione carceraria, lo slittamento fino al 15 aprile delle udienze civili, penali e amministrative, e l'istituzione di un fondo di 600 milioni per il settore aereo e in particolare per l'Alitalia.
Questo in sintesi il contenuto del “Cura Italia”. Vogliamo approfondire però i primi due dei suoi ambiti di intervento, la sanità e il lavoro, che sono anche quelli che toccano direttamente la vita di milioni di lavoratori e delle loro famiglie, e dove sono parecchie le cose che non ci tornano.

Misure per la sanità
Il decreto consente ai prefetti di requisire alberghi per le quarantene e dispositivi sanitari in tutto il Paese, e di requisire in uso o in proprietà locali e mezzi della sanità privata per metterli a disposizione della sanità pubblica. Ma prevede anche l'indennizzo del 100% del valore dei locali e dei mezzi requisiti, mentre la requisizione dovrebbe essere senza indennizzo, sia in nome della salute pubblica e sia perché di fatto la sanità privata è già foraggiata abbondantemente con i soldi pubblici.
Per non intralciare la produzione nella filiera sanitaria i lavoratori venuti a contatto con soggetti positivi al coronavirus sono dispensati dalla quarantena. Una misura inammissibile che fa di questi lavoratori una categoria di serie B, con meno diritti e meno sicurezza. E rischia anche di essere applicata in maniera estensiva anche a interi comparti industriali che anche solo marginalmente hanno a che fare con la filiera sanitaria. Il decreto incentiva e semplifica poi al massimo la produzione di mascherine e altri dispositivi di protezione, anche in deroga al marchio CE, sia pure sotto il controllo dell'Istituto di sanità nazionale. Questo può portare ad un abbassamento delle protezioni per tutti quei lavoratori, di tutti i comparti produttivi, che non possono mantenere la distanza di sicurezza, vanificando di fatto una delle condizioni imprescindibili del protocollo firmato tra vertici sindacali e associazioni padronali.
Per far fronte alla carenza di personale sanitario circa 10 mila neolaureati potranno entrare direttamente in servizio (con che tipo di contratto?), e saranno arruolati in via temporanea dall'esercito 120 ufficiali medici e 200 sottufficiali infermieri. Saranno inoltre assunti 200 medici e 100 infermieri all'Inail, ma solo a tempo determinato (sei mesi, e comunque non prorogabili entro il 31 dicembre 2020) e con contratti cococo. E il personale che ha maturato i requisiti per andare in pensione dovrà restare in servizio: non è prevista la scelta volontaria. Non è certo con questi espedienti, anche palesemente antisindacali, che si può pensare di invertire e risolvere la disastrosa mancanza di personale nella sanità pubblica determinata dalla sciagurata politica di tagli e blocco delle assunzioni di questi anni. Poteva essere invece l'occasione per impostare una politica completamente opposta, cominciando con l'assumere subito medici e infermieri in quantità significative, con contratti regolari e a tempo pieno.

Misure a sostegno dei lavoratori
Conte, Gualtieri e la ministra del Lavoro Catalfo hanno messo una particolare enfasi sulle misure a sostegno dei lavoratori, cercando di rassicurare che nessuno sarà lasciato indietro e nessuno dovrà perdere il lavoro. Per i lavoratori rimasti alla produzione che guadagnano fino a 40 mila euro lordi è previsto un bonus da 100 euro. Per tutti i lavoratori costretti a restare a casa per il blocco delle produzioni vengono potenziate tutte le forme di cassa integrazione, ordinaria, straordinaria e in deroga, per un totale di 5 miliardi, nonché il fondo di integrazione salariale. Quella in deroga vale per tutte le imprese escluse dalle altre due forme di Cig, anche con un solo dipendente. Per 60 giorni le aziende non potranno licenziare, neanche per motivi economici. Per i lavoratori autonomi, partite Iva, cococo, operai agricoli e stagionali e lavoratori dello spettacolo è previsto un contributo una tantum di 600 euro, per un totale di 2,4 miliardi per 4 milioni di lavoratori non dipendenti, che la ministra Catalfo ha promesso “sarà rinnovato”. Viene istituito poi un “fondo per il reddito di ultima istanza” da 300 milioni per un sostegno ai lavoratori, dipendenti e autonomi, sotto i 10 mila euro di reddito nel 2019.
Intanto c'è da dire che da queste misure – sia la Cig che il divieto di licenziamento per due mesi – sono escluse intere categorie di lavoratori come quella delle collaboratrici domestiche, badanti e baby sitter, che resteranno senza alcuna copertura, proprio in un momento in cui le strutture pubbliche per anziani e le abitazioni sono generalmente interdette all'accesso. Catalfo ha solo promesso vagamente che per queste lavoratrici e lavoratori “si potrà prevedere un indennizzo, sul modello di quello dei lavoratori autonomi, ma con cifra da definire”, finanziabile forse col fondo (esiguo) per il reddito di ultima istanza. Inoltre la cassa integrazione non copre integralmente il salario, subisce forti decurtazioni del 20-30%. E per giunta non viene anticipata dalle aziende ma viene erogata dall'Inps con forti ritardi, mentre le famiglie hanno un bisogno immediato di soldi in questo duro frangente. Invece noi chiediamo che salari e stipendi vengano pagati integralmente a tutti i lavoratori dipendenti costretti a restare a casa per chiusura delle aziende o per quarantena, compresi quelli del lavoro domestico.

Misure a sostegno di autonomi e partite Iva
Quanto al sostegno di 600 euro ad autonomi e partite Iva, al di là della propaganda strumentale ed elettoralistica di Renzi e Salvini, balza agli occhi che è nettamente insufficiente, oltreché limitato al solo mese di marzo (e chissà quando poi verrà effettivamente erogato). Ne sono escluse inoltre intere categorie di lavoratori autonomi occasionali, a cominciare dai rider, che oltretutto sono anche a forte rischio contagio, molti lavoratori stagionali, parasubordinati, soci di cooperative, freelance, artigiani, piccoli commercianti in nero, ecc. Si tratta di centinaia di migliaia di persone, operanti perlopiù nei campi dello spettacolo, della cultura, del turismo, dello sport, rimasti totalmente senza reddito e senza fonti di sostentamento per le conseguenze dell'epidemia.
Non a caso sta salendo sempre di più la richiesta, che noi appoggiamo, di un reddito di quarantena, insieme a quella dell'estensione del reddito di cittadinanza rimuovendo tutti i vincoli a cui è sottoposto, per consentire a tutti coloro che non hanno altre coperture di poter affrontare le difficoltà di questa crisi. Secondo noi tale reddito di quarantena, per tutti i lavoratori non dipendenti e disoccupati, non dovrebbe essere inferiore a 1.000 euro.
Anche il rinvio delle scadenze dei versamenti a fine maggio per gli autonomi appare del tutto inutile se, come ormai appare sempre più probabile, la crisi si prolungherà per dei mesi. Al di là delle becere richieste di Salvini, che pretende la “cancellazione delle tasse per tutto l'anno per tutti” (strizzando l'occhio anche a chi le tasse non le ha mai pagate e agli imprenditori che continuano a lavorare e guadagnare anche durante l'emergenza), bisognerà comunque pensare di annullare tasse e affitti a tutti quegli artigiani, commercianti e partite Iva che sono rimasti completamente senza introiti a causa della crisi.

Congedi familiari
Per le famiglie di lavoratori con figli fino a 12 anni vengono stanziati 1,3 miliardi per pagare al 50% congedi di 15 giorni, o in alternativa un bonus baby sitter di 600 euro, che sale a 1.000 euro per operatori sanitari e “forze dell'ordine”. Genitori con figli tra i 12 e i 16 anni potranno stare a casa senza stipendio ma con conservazione del posto di lavoro. Per i lavoratori con figli disabili è escluso il limite di età. Altri 130 milioni sono destinati a coprire i giorni di quarantena, considerati alla stregua di malattia ma finanziati dallo Stato anziché da Inps e imprese, e scomputati dal tetto usufruibile per legge.
Anche qui ci sono diverse osservazioni da fare. Innanzi tutto non si capisce perché i congedi debbano essere pagati metà stipendio e non intero, e perché le aziende non debbano contribuire alla copertura. Questo vale anche per i giorni di quarantena obbligata. Inoltre al raggiungimento del plafond di 1,3 miliardi per il 2020 le domande di congedo in eccesso verranno rigettate. Per i genitori con figli disabili che lavorano nella sanità, pubblica e privata, l'estensione dei congedi oltre quelli già concessi dalla legge ordinaria è poi soggetta alle esigenze organizzative causate dell'emergenza. Vale anche per questi lavoratori il rigetto della domanda di congedo una volta superato il limite del fondo a disposizione.

Misure in campo abitativo e carcerario
Il decreto prevede la sospensione fino al 30 giugno dei provvedimenti esecutivi di rilascio, per immobili anche ad uso non abitativo, per impedire che migliaia di famiglie impossibilitate a pagare il mutuo si ritrovino senza un'abitazione alternativa durante l'emergenza. La misura è estesa anche ai lavoratori autonomi che certifichino un calo del fatturato di almeno il 33% rispetto all'ultimo trimestre del 2019. Nulla viene invece previsto per le famiglie che vivono in affitto e che possono trovarsi in analoghe condizioni di difficoltà, e pertanto in pericolo di sfratto. L'attuale fondo di 50 milioni per i prossimi tre anni è infatti totalmente insufficiente a far fronte alle pesanti conseguenze dell'emergenza.
Per le carceri sono stati stanziati appena 20 milioni, che non basteranno nemmeno per le riparazioni dopo le rivolte delle settimane scorse, figuriamoci per rendere più vivibili le condizioni ai detenuti. Inoltre il via libera alla norma per concedere la detenzione domiciliare ai detenuti a fine pena e per reati non classificati gravi e pericolosi, è tutt'altro che uno “svuota carceri” come vanno strillando indignati Salvini e la Meloni. La concessione dei domiciliari è infatti subordinata all'uso del braccialetto elettronico, e tutti sanno che questi dispositivi sono assolutamente carenti e non fornibili a breve, specialmente ora. Ne saranno comunque esclusi tutti coloro che hanno partecipato a qualsiasi titolo alle rivolte (anche semplicemente battendo le sbarre) e tutti coloro con un qualsiasi provvedimento disciplinare. Sono esclusi altresì i detenuti senza un domicilio effettivo, quindi praticamente tutti gli extracomunitari. Non è certo così che si può alleggerire lo spaventoso sovraffollamento carcerario, che in caso di epidemia produrrebbe effetti catastrofici.
In conclusione il “Cura Italia” non è affatto quell'intervento “poderoso” rivendicato da Conte, bensì al massimo un primo, tardivo e insufficiente provvedimento tampone. Occorre pertanto rivendicare le sostanziose modifiche e gli altri e più adeguati interventi che abbiamo esposto, per sostenere tutti i lavoratori e le loro famiglie, tenendo la loro salute come priorità assoluta. La lotta di classe contro il capitalismo e il suo governo non si deve fermare, neanche con l'epidemia.
Viva gli scioperi nei settori non essenziali e nelle fabbriche che non garantiscono la salute dei lavoratori per rivendicare più adeguate misure a sostegno dei lavoratori e delle loro famiglie
La subalternità del governo Conte alla Confindustria e le misure governative adottate che non tutelano in alcun modo i lavoratori e anzi continuano a considerali carne da macello da immolare sull'altare del profitto capitalistico dimostrano che non siamo sulla stessa barca. Operai e padroni sono oggi più che mai contrapposti e occorre rispedire ai mittenti ogni appello alla conciliazione di classe. Ecco come si può tutelare davvero la salute e gli interessi del proletariato e delle masse popolari.
Noi marxisti-leninisti ribadiamo i nostri inflessibili No alla sospensione dei diritti costituzionali, No alla militarizzazione del Paese, No al divieto di sciopero, No allo svuotamento della democrazia e del parlamento borghesi, No alla dittatura del governo Conte.
 

24 marzo 2020